La genesi di Tosca attraverso le lettere autografe e altro materiale d’archivio

La documentazione conservata presso Casa Ricordi e la villa di Giacosa a Colleretto, che consiste in abbozzi di libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, è assai ricca e consente di tracciare con precisione la storia del capolavoro di Puccini, anche delle diverse fasi creative: l’itinerario riserverà parecchie sorprese, soprattutto a chi conosce l’opera così come viene eseguita oggi. Attraverso la progressiva sistemazione delle strutture drammatiche l’opera acquisì quel passo implacabile che ne fa uno dei drammi più stringenti di ogni tempo.

L’interesse di Puccini per La Tosca di Sardou risale al 1889, quando, insieme a Ferdinando Fontana il disastroso librettista di Edgar che ebbe però il merito di attrarre la sua attenzione sul soggetto, assistè a Milano ad una recita (14 febbraio) e ad un’altra a Torino (17 marzo). Infatti, in una lettera del 7 maggio, Puccini scrisse a Giulio Ricordi «penso alla Tosca», ‘scongiurandolo’ di avviare le pratiche necessarie per ottenere il permesso da Sardou. La «Gazzetta musicale» del 13 dicembre 1891 scriveva: «G. Ricordi & C. Editori in Milano - Roma - Napoli - Palermo - Parigi - Londra annunciano di avere acquistato da Vittoriano Sardou il diritto di ridurre in dramma lirico: LA TOSCA. Il maestro Giacomo Puccini, avendo terminato gli impegni assunti colla Ditta stessa, ebbe da questa nuovo incarico di scrivere altre due opere, una delle quali sarà LA TOSCA, su libretto di Luigi Illica». In effetti Illica si mise al lavoro, ma nel 1894 il progetto musicale fu passato a Alberto Franchetti, che rinunciò l’anno successivo. Dal 1895 si entra nel vivo del lavoro: Illica e Giacosa (che il 14 dicembre scrive a Ricordi, accettando di collaborare) preparano il libretto per Puccini.

Il duetto fra Tosca e Cavaradossi (18.1) del I atto fu più volte rimaneggiato, come tanti altri punti. Giacosa fornisce una stesura, con varie correzioni: si noti come vi figurino ancora Paisiello (11), il cui nome scomparirà dalla versione definitiva, e la frase cruciale «E falle gli occhi neri». In una versione successiva (18.2-3), chiaramente una copia di lavoro, possiamo riconoscere lo stesso verso e, nella pagina successiva, un’indicazione di mano di Ricordi «occhi neri», a ricordare la necessità di inserire qualcosa che sviluppasse il tema degli occhi di Tosca. Ed ecco Puccini stesso che interviene, con una lettera a Giacosa, con la quale trasmette «il piano dell’occhio» (18.4). La lettera non è datata e potrebbe essere anche più tarda, dato che risulta con evidenza che il lavoro sul libretto terminò praticamente dopo la consegna della partitura di Puccini a Ricordi. Un confronto col libretto stampato (18.5) permette di verificare che si tratta della versione effettivamente inserita.

Nell’estate del 1896 Puccini comincia effettivamente il suo lavoro, come si ricava dalla lettera indirizzata a Illica: «Incominciata Tosca». (19.1) Risulta evidente che il lavoro sul libretto non era affatto terminato, dato che Puccini in questo momento si affida completamente a Illica per eliminare la «poca semplicità» di linguaggio che evidentemente trovava nella stesura di Giacosa (al quale si allude nella conclusione con il consueto soprannome «Budda»). La prima fase della composizione consisteva di solito nel fissare sulla carta idee musicali di alcuni momenti dell’opera (19.2). In questo caso Puccini volle comunicare, il 15 ottobre 1896, al suo «carissimo Giulio Ricordi» di aver composto le «prime note toscane» con la consapevolezza di avere davanti a sé ancora molto lavoro: «ah fosser l’ultime!». Nello spazio che concede la sua immagine stampata su una cartolina, traccia l’idea che accompagna l’ingresso di Angelotti in scena, una sequenza che rappresenta in tempo reale la sensazione di terrore che prova l’evaso. Il confronto con la corrispondente pagina dello spartito (19.3, nell’edizione riveduta sulle fonti originali a cura di Roger Parker, Ricordi 1995) evidenzia che l’idea ha subìto alcuni importanti cambiamenti.

La composizione di Tosca rientra in un periodo intenso circa un anno dopo: il 23 novembre 1897 Puccini scrive una lunga lettera a Tito Ricordi (19.4) in cui manifesta la ferma volontà di dedicarsi completamente all’opera nuova, giustifica il ritardo nella composizione, si lamenta della scarsa attenzione che i giornali milanesi, «la porca stampa», dedicano agli allestimenti delle sue opere, distribuisce stoccate ai suoi colleghi-rivali (il solito Leoncavallo, con la sua Bohème) e si mostra sicuro che con Tosca sbaraglierà definitivamente il campo: a dimostrazione di ciò fornisce a Tito il «leitmotif della trombata finale», che poi altro non è che il motivo che si sente in orchestra quando Cavaradossi scopre il quadro della Maddalena, che ritrae – com’è noto – l’Attavanti, provocando l’indignazione del Sagrestano, motivo, nelle sue varie trasformazioni veramente cruciale (19.4).

Nel gennaio 1898 Puccini iniziò la stesura dell’abbozzo continuo, ovvero di tutta l’opera. Qui vediamo l’abbozzo del cosiddetto Preludio: esso contiene il cosiddetto ‘tema di Scarpia’, che percorre tutta l’opera (19.5). Un altro abbozzo del I Atto, che è poi l’introduzione a «Recondita armonia», viene confrontato con la corrispondente pagina dello spartito (19.6-7). Si può notare che Puccini, in questa fase, oltre a mettere sulla carta una linea melodica e uno sviluppo armonico, fissa anche i punti essenziali del colore strumentale: vedi le indicazioni «arpa e celli», «legni» (19.6). Nell’estate 1898 Puccini, sempre alla ricerca di luoghi adatti al lavoro, prese in affitto Villa Mansi a Monsagrati (19.8): si accingeva ad affrontare la terza fase del suo lavoro, ossia la stesura della partitura. Dalla lettera indirizzata all’amico Guido Vandini (19.9) si evince che per completare il finale I aveva bisogno di un versetto da far ‘brontolare’ dai preti prima che venisse intonato il Te Deum vero e proprio. Come al solito era molto esigente, e voleva che avesse attinenza con la vittoria (presunta) che l’inno avrebbe dovuto celebrare, ossia la sconfitta dei francesi a Marengo. E aveva molta urgenza di ottenerlo, perché chiede all’amico di scomodare amici, preti, vescovo, con la minaccia di protestare presso il papa stesso se non lo avesse ricevuto presto!

Nella partitura autografa (conservata presso l’Archivio storico di Casa Ricordi, 20.1-2) Puccini scrive due volte il nome della località, ossia Monsagrati, a c.2r e sull’ultima carta, 109v, a siglare il termine del lavoro per il I Atto. Entra poi in campo un altro Puccini … Negli ultimi mesi del 1898, Puccini lavora alla partitura del II atto. Gli serviva una Gavotta che venisse suonata in lontananza da un’orchestra alla festa della Regina di Napoli, Maria Carolina, poco dopo l’inizio dell’Atto. Probabilmente si ricordò delle Gavotte che sia lui che suo fratello minore Michele (morto a Rio de Janeiro nel 1891) avevano composto (realizzando il basso tratto dalle Suites di Corelli) durante il periodo degli studi, e le ricercò tra i suoi vecchi manoscritti. Quella che trovò (ora conservata tra i cimeli del Museo di Celle dei Puccini, 20.3) fu una tra le poche composizioni originali: non era sua, ma del fratello. Vi annotò sopra «Gavotta Tosca» e la fece propria. Non solo: recuperò anche una melodia, immediatamente sopra a quella della Gavotta, che impiegò poi in un passaggio successivo del medesimo atto, per la frase di Cavaradossi «L’alba vindice appar». Fu un omaggio affettuoso al fratello scomparso?

Nel gennaio 1899 Puccini incontrò Sardou a Parigi, e inviò un vivace resoconto del colloquio a Giulio Ricordi. Dalla lunga lettera (20.4), datata 13 gennaio, si ricavano, oltre che un ritratto vivo del drammaturgo francese (lo chiama «il Mago», ne dipinge il carattere con «Bel tipo, tutta vita, fuoco»), notizie interessanti. Innanzi tutto non era ancora deciso definitivamente il finale dell’opera: «la vuol morta a tutti i costi, quella povera donna! Ora che Deibler [l’ultimo boia in servizio a Parigi] è tramontato, il Mago può prendere il seguito! Ma io non lo seguo certamente. Accetta la pazzia ma vorrebbe che svanisse, si spegnesse come un uccello - Odio gli uccelli spenti - Viva l’erezione del monumento!». Poi accenna a una «réprise» del dramma con Sarah Bernardt, per la quale Sardou aveva idee scenografiche un po’ particolari: voleva una grande bandiera su Castel Sant’Angelo e aveva disegnato la scena facendo passare il Tevere tra San Pietro e Castel Sant’Angelo. Puccini provò a opporsi a queste «inesattezze storico-topo-panoramiche» facendo notare che il «flumen» non passava in quel punto, ma Sardou replicò che questi erano solo particolari…! Per il finale, Puccini preferiva però «il piano di Tito (Ricordi) e per la fine - fine e non eclatante». La lettera si conclude con l’informazione che avrebbe dovuto vedere ancora Sardou «forse vorrà far morire anche Spoletta?» e con la consueta poesiola.

Nell’estate 1899 Puccini si ritirò a Boscolungo, in una casa che avrebbe poi acquistato (20.5), dove lavorò alla partitura del III atto. Qui vediamo un abbozzo di «Oh dolci baci» (20.6), dall’aria di Cavaradossi «E lucevan le stelle». Il III atto fu poi completato a Torre del Lago, il 29 settembre alle «ore 4:15 di mattina» come si può leggere nella partitura autografa (20.7: nella carta 264r compaiono anche gli avvisi per la tutela del diritto d’autore). In realtà mancavano ancora la parte iniziale dell’atto, il Preludio, e i versi per il canto del pastorello. Puccini inviò a Ricordi la partitura (mancante della parte iniziale) del III atto pochi giorni dopo quel 29 settembre. L’11 ottobre ricevette una lettera nella quale l’editore, pur manifestando «l’affetto vero ed intenso che io porto a Lei e che me lo fa caro come un figlio», esprimeva disappunto per quest’ultimo atto: «il 3° atto di Tosca, così come è, mi pare grave errore di concetto e di fattura!…. la scena di Cavaradossi, l’entrata di Tosca, sono belle ed efficaci – come è certo efficacissima, ed è una gran trovata, la fucilazione e la fine. – Ma Iddio Santo e buonissimo!… cos’è il vero centro luminoso di quest’atto?… il duetto Tosca-Cavaradossi. Cosa ho trovato?… un duetto frammentario, a piccole linee che impiccioliscono i personaggi; ho trovato uno de’ più bei squarci di poesia lirica, quello delle mani, sottolineato simplicemente da una melodia, pure frammentaria e modesta, e per colmo, un pezzo talis et qualis dell’Edgar!!…». Puccini rispose immediatamente, con una lettera (20.8) piena di rispetto ma ferma: «Pur non di meno sono sereno e convinto che se Ella ripassa questo 3° atto la sua opinione si cambia! Non è orgoglio il mio, no. È la convinzione di aver colorito come meglio non potevo il dramma che mi stava dinnanzi». Passa poi a difendere punto per punto le sue scelte: «Quanto alla frammentarietà, è cosa voluta da me: non può essere una situazione uniforme e tranquilla come in altre confabulazioni d’amore». E ancora «L’appunto per aver preso un frammento dell’Edgar … può sembrare un ‘schiva fatica’ qualunque. Così com’è, togliendosi dall’idea che appartiene ad altro lavoro (4° atto Edgar abolito) mi sembra pieno della poesia che emana dalle parole».
Ricordi ebbe presto a ricredersi, tanto che, dopo aver ricevuto circa una settimana dopo il Preludio ancora mancante, le sue lodi furono del tutto sincere. L’opera fu così terminata e Puccini cominciò ad occuparsi della première.


Elenco dei materiali esposti

18.1 Giuseppe Giacosa, stesura del duetto del I atto. Archivio Giacosa.
18.2 Copia di lavoro del libretto. Archivio Giacosa.
18.3 Copia di lavoro del libretto. Archivio Giacosa.
18.4 Lettera di Giacomo Puccini a Giuseppe Giacosa. Archivio Giacosa.
18.5 Tosca, libretto Ricordi, © 1899.

19.1 Lettera di Giacomo Puccini a Luigi Illica, 22 agosto 1896.
19.2 Cartolina di Giacomo Puccini a Giulio Ricordi con abbozzo, «Pan», II/11, 1934. Collezione Bigongiari
19.3 Lo stesso passaggio in Tosca, rid. c e pf. a cura di R. Parker, Milano, Ricordi © 1995.
19.4 Lettera di Giacomo Puccini a Tito Ricordi, 23 novembre 1897.
19.5 Tosca, abbozzo del Preludio. «La Scala», n. 160, 1963. Collezione Bigongiari
19.6 Tosca, abbozzo del I Atto. Staatsbibliothek Berlin.
19.7 Lo stesso passaggio in Tosca, rid. c e pf. a cura di R. Parker, Milano, Ricordi © 1995.
19.8 Villa Mansi a Monsagrati.Collezione Bigongiari
19.9 Lettera di Giacomo Puccini a Guido Vandini, agosto 1898.

20.1 Tosca, partitura autografa, c.2r. Archivio Ricordi.
20.2 Tosca, partitura autografa, c.109v. Archivio Ricordi.
20.3 Michele Puccini jr, Gavotta. Museo Puccini, Celle dei Puccini.
20.4 Lettera di Giacomo Puccini a Giulio Ricordi. Archivio Ricordi.
20.5 Villa Puccini a Boscolungo Abetone. Collezione Bigongiari
20.6 Abbozzo di «O dolci baci», III atto. G. Adami, Puccini, ein Musikerleben mit 240 eigenen Briefen, Berlin, Werkverlag, 1939.
20.7 Tosca, partitura autografa, c.264r. Archivio Ricordi.
20.8 Lettera di Giacomo Puccini a Giulio Ricordi. Archivio Ricordi.