Tosca di Puccini a Roma il 14 gennaio 1900

La mostra si chiude con la documentazione della messinscena, materiale preziosissimo conservato presso l’Archivio Storico Ricordi, di cui si propone qui un’ampia scelta.
Una delle maggiori preoccupazioni di Puccini fu quella di riprodurre realisticamente l’atmosfera romana che tanta parte rivestiva nell’opera. Si rivolse perciò a Don Pietro Panichelli, che aveva conosciuto da poco durante una sua visita a Roma. Questi, buon dilettante di musica, riuscì a fornirgli l’esatta intonazione della campana grande di San Pietro (Mi0) interpellando il maestro Meluzzi, e gl’inviò una trascrizione della melodia del Te Deum in uso nella liturgia romana, che Puccini ricevette nel gennaio 1898. Le informazioni che prese sulla liturgia romana, per il finale I, furono capillari, e riguardarono anche l’aspetto scenico del quadro spettacolare. Da lunghe ricerche condotte presso antiquari e mercanti d’arte della capitale ricavò diciotto tavole dipinte a mano (21.1-6), in cui si ritraevano tutti i costumi dei partecipanti alle cerimonie solenni, nonché una pianta ove si riproduceva l’ordine in cui essi sfilavano in processione. La tavola dell’attrezzeria e Ordinazione attrezzi e accessori (21.7-9) servono poi a rammentarci che dietro a un allestimento più o meno importante, per implicazioni drammatico-musicali, ci sono mille necessità pratiche, e che oggetti come un pugnale, dei candelabri, turiboli e quant’altro, fanno parte a pieno titolo di uno spettacolo, e ne determinano la qualità.

Nella vicenda di Tosca la scenografia riveste un peso importante, anche perché Puccini, prima di misurarsi realmente con le esigenze del teatro di regìa (come avrebbe fatto sin dai primi del Novecento), immaginava lo spettacolo in tutte le sue componenti, e badava a che fossero armonizzate tra loro al fine di creare il maggior effetto possibile. Sotto questo profilo, i tre bozzetti preparati da Adolf Hohenstein sono quanto di meglio potesse ottenere. I due interni, Sant’Andrea della Valle (22.1) e la sala di Palazzo Farnese (22.2), sono esempi splendidi di Décor, ma è soprattutto la piattaforma di castel Sant’Angelo che àncora la vicenda a Roma e alla sua peculiare atmosfera (22.3), e serve da sfondo connotato per le campane che intonano il mattutino, spargendo un’ironia tragica sull’epilogo della vicenda. Lo si confronti con la Roma di Sardou, per verificarne la superiore funzionalità.

Anche i figurini, 48 in tutto, sono parto dell’ingegno grafico di Hohenstein, che già per la precedente Bohème si era fatto carico di realizzare quasi per intero l’apparato visivo. Dal confronto fra i tre costumi per Floria Tosca (23.1, 23.3, 23.5), con le foto posate della prima interprete, Hariclea Darclée (23.2, 23.4, 23.6), si può verificare la corrispondenza con gli atteggiamenti assunti nei vari momenti dell’opera, in particolare quando stringe tra le mani il pugnale dietro la schiena. Le foto consentono inoltre di affermare che il modello per le posizioni chiave della cantante sia quello, oramai diffuso, stabilito da Sarah Bernhardt.

Soltanto un costume spettava invece a Cavaradossi (24.2) e Scarpia (24.4), che vengono giustapposti ai tre celeberrimi acquerelli di Leopoldo Metlicovitz, perché circolarono, nel fiorente mercato dell’oggettistica minuta che accompagna la capillare affermazione del marchio Puccini a tutti i livelli di mercato. Dopo Mario e Floria in connubio d’amorosi sensi (24.1) incontriamo Scarpia ritratto nell’atteggiamento più emblematico (24.3), cioè nel momento in cui s’inginocchia al passaggio della processione intonando il Te Deum assieme agli altri fedeli convenuti in Sant’Andrea per la cerimonia solenne. L’immagine è giustamente famosa, perché fissa quel misto di sacro e profano ch’è cifra dell’opera intera. Chiude la serie degli acquerelli un’immagine di Tosca, inquieta e sospettosa, che s’aggira nervosamente sulla piattaforma (24.5). L’ultimo blocco di figurini ci mostra i comprimari, a partire da Cesare Angelotti (25.1) e dal Sagrestano in atteggiamento d’avvinazzato (25.2), a Spoletta (25.3) e Sciarrone, vestito come un carabiniere (25.8) e, più in generale, l’apparato sacro e il suo braccio secolare, cioè i personaggi che sfilano nella processione (25.3-5) e i vari sbirri che si succedono nella vicenda al servizio del potere (25.7-9). Né gli uni né gli altri dovevano riscuotere le simpatie di Hohenstein, come mostra la scenetta tra il Vescovo e il chierico che gli regge la veste (25.4-5) e il «cagnotto» di cui si può agevolmente immaginare il «collarino sozzo» (come dice il sagrestano all’uscita in scena, 25.7). Di certo non erano nelle grazie di Illica, tanto che, rileggendo la prima stesura del libretto, quando ancora il lavoro era agli inizi, Ricordi gli aveva manifestato un dubbio: «quei preti scagnozzi non mi vanno!! Per esempio a Roma si solleverà un buggerio! Poi sono antipatici. Bisogna abolirli, e trovare qualcos’altro. Fare ragazzi chierici, ed i coristi cantori della chiesa.» (6 novembre 1896). Evidentemente Illica, da fervente anticlericale qual era, aveva un po’ esagerato nella caratterizzazione negativa dell’ambiente chiesastico romano.

La prima ebbe luogo al Teatro Costanzi il 14 gennaio 1900, il cui magnifico esterno dell’epoca (26.2) possiamo vedere ora, purtroppo, solo in fotografia, poiché oggi è stato completamente ristrutturato e inglobato nella teoria di edifici circostanti; un gran bel teatro, i cui ampi spazi (26.3) ora sono scomparsi. Solo la capitale d’Italia avrebbe potuto accogliere il debutto di un’opera così intimamente connessa ai suoi luoghi più rappresentativi, ma la scelta fu dovuta anche all’opportunità di fare un po’ di propaganda centro-meridionale a un’opera di Casa Ricordi. Il realismo del soggetto consentiva inoltre un confronto ravvicinato con Cavalleria rusticana, nel decennale d’un debutto avvenuto proprio nella stessa sala. Oltre alla Darclée figuravano tra gli interpreti Emilio De Marchi (Cavaradossi, 27.3), Eugenio Giraldoni (Scarpia, 27.2), Ettore Borrelli (Sagrestano), Enrico Giordani (Spoletta). Lo spettacolo fu preparato con cura da Tito Ricordi, figlio di Giulio (27.9), mentre sul podio salì Leopoldo Mugnone (27.4), una presenza fortemente caldeggiata da Puccini. La serata fu movimentata dalla presenza della Regina Margherita (27.10) e di vari ministri, fra cui Pelloux. Assistettero inoltre allo spettacolo molti compositori, fra cui Mascagni (27.1), Franchetti, da buon extitolare del soggetto (27.1), Marchetti (27.5), Sgambati (27.6), Cilea (27.7), Costa (27.8). La stampa era presente al gran completo. Il clima era quello delle grandi attese, e la tensione determinata dall’opera fu ulteriormente acuita dalla notizia, fortunatamente rivelatasi infondata, che qualcuno avrebbe buttato una bomba in sala. Nonostante i numerosi bis concessi, e le chiamate al proscenio per autore e interpreti, il consenso non fu unanime, e le recensioni (28) stanno lì a dimostrarlo.

Per capire meglio la reazione seminegativa del pubblico (la cattiva disposizione degli ambienti artistici locali era dovuta all’ingerenza dei milanesi sulle strutture produttive locali), bisogna riflettere un po’ più in generale sul rapporto fra l’opera, la storia e l’ambiente. È fuor di dubbio che la Roma papalina ai primi dell’Ottocento sia un elemento basilare della trama, e che il siciliano barone Scarpia ne incarni l’immagine all’interno della costellazione dei personaggi. Con questi elementi Puccini volle fissare un ritratto indelebile di quel mondo bigotto e corrotto. Ogni data e ogni situazione, grazie alla fantasia di Sardou, si propongono come momento credibile del passato rivissuto artisticamente, ma la grandezza del lavoro di Puccini è quella di sfruttare questo impianto drammatico per arricchire la narrazione, oltrepassando gli angusti limiti di una recita teatrale e di un tempo rigidamente determinato. La verosimiglianza stimola l’immaginazione simbolica dello spettatore, e se le opere d’arte sono anche strumenti per interpretare la realtà, a Tosca non si può negare il primato dell’aver saputo rappresentare come nessun altro lavoro l’autentico spirito di Roma. Uno spirito eterno che ha attraversato i secoli, e dall’età imperiale si è trasmesso alla Roma dei papi, la città della controriforma, di Pio ix, la capitale della cristianità, e infine d’Italia. Il suo ritratto visto con gli occhi del giacobino Cavaradossi fu forse una causa delle contestazioni e tumulti scoppiati durante la prima assoluta: ai vizi dei suoi beneamati potenti, allora come ora, il pubblico era talmente affezionato da non desiderare che venissero così palesemente messi alla berlina.

Ma ciò non valse ovviamente a limitare il successo dell’opera, che nel corso delle repliche si affermò con inesauribile vitalità, la stessa che mantiene al giorno d’oggi. Ciò anche perché, oltre alla ragione precedentemente addotta, Puccini perseguì fedelmente l’intento di rappresentare una realtà, un ambiente, dei personaggi, mettendo la musica a servizio del dramma e nel farlo, come d’abitudine, aggiornò il proprio linguaggio musicale. Fantasia timbrica, invenzione melodica ed elaborazione motivica partono da un’economia e un razionale utilizzo del materiale che prelude a realizzazioni strutturali vieppiù ardite, in linea con gli sviluppi dell’opera europea del suo tempo. Coniugare un tipico teatro tardo ottocentesco come la pièce di Sardou alla modernità linguistica, che trovò ardenti estimatori in Arnold Schönberg e Alban Berg e un detrattore altrettanto appassionato in Gustav Mahler, è uno degli aspetti di Tosca che c’inducono a considerarla come uno dei modi migliori, da parte del più colto e internazionale tra i nostri compositori, di inaugurare il nuovo secolo. E, per noi, di entrare nel nuovo millennio col ricordo dei duecento anni che ci dividono dal tempo dell’azione.


Elenco dei materiali esposti

21.1-6 Tavole storiche per la processione di Tosca. Archivio Ricordi.
21.7 Tavola dell’attrezzeria. Archivio Ricordi.
21.8 e 9Ordinazione attrezzi e accessori. Archivio Ricordi.

22.1 Adolf Hohenstein, bozzetto I atto, Sant’Andrea della Valle. Archivio Ricordi.
22.2 Adolf Hohenstein, bozzetto II atto, Palazzo Farnese. Archivio Ricordi.
22.3 Adolf Hohenstein, bozzetto III atto, Piattaforma di Castel Sant’Angelo. Archivio Ricordi.

23.1 Adolf Hohenstein, figurino Floria Tosca, I atto. Archivio Ricordi.
23.2 Hariclea Darclée, foto di scena. Archivio Ricordi.
23.3 Adolf Hohenstein, figurino Floria Tosca, II atto. Archivio Ricordi.
23.4 Hariclea Darclée, foto di scena. Archivio Ricordi.
23.5 Adolf Hohenstein, figurino Floria Tosca, III atto. Archivio Ricordi.
23.6 Hariclea Darclée, foto di scena. Archivio Ricordi.

24.1 Leopoldo Metlicovitz, Tosca e Cavaradossi, acquerello. Archivio Ricordi.
24.2 Adolf Hohenstein, figurino Cavaradossi. Archivio Ricordi.
24.3 Leopoldo Metlicovitz, Scarpia, acquerello. Archivio Ricordi.
24.4 Adolf Hohenstein, figurino Scarpia. Archivio Ricordi.
24.5 Leopoldo Metlicovitz, Floria Tosca, acquerello. Archivio Ricordi.

25.1 Adolf Hohenstein, figurino Angelotti. Archivio Ricordi.
25.2 Adolf Hohenstein, figurino Sagrestano. Archivio Ricordi.
25.3 Adolf Hohenstein, figurino Spoletta. Archivio Ricordi.
25.4 Adolf Hohenstein, figurino Vescovo. Archivio Ricordi.
25.5 Adolf Hohenstein, figurino Chierico. Archivio Ricordi.
25.6 Adolf Hohenstein, figurino Prelato. Archivio Ricordi.
25.7 Adolf Hohenstein, figurino Sbirro. Archivio Ricordi.
25.8 Adolf Hohenstein, figurino Sciarrone. Archivio Ricordi.
25.9 Adolf Hohenstein, figurino Giudice del fisco. Archivio Ricordi.

26.1 Il Teatro Costanzi: la pianta. Illustrazione del Teatro Costanzi, s.l., s.e., [1880]. Collezione Bigongiari.
26.2 Il Teatro Costanzi: l’esterno. Illustrazione del Teatro Costanzi, s.l., s.e., [1880]. Collezione Bigongiari.
26.3 Il Teatro Costanzi: il caffè. Illustrazione del Teatro Costanzi, s.l., s.e., [1880]. Collezione Bigongiari.
26.4 Il Teatro Costanzi: la sala. Illustrazione del Teatro Costanzi, s.l., s.e., [1880]. Collezione Bigongiari.

27.1 Alberto Franchetti, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni Collezione Bigongiari: cartolina d’epoca.
27.2 Eugenio Giraldoni, interprete di Scarpia.
27.3 Emilio De Marchi, interprete di Cavaradossi.
27.4 Leopoldo Mugnone, maestro concertatore e direttore di Tosca.
27.5 Filippo Marchetti. Foto tratta da spartito d’epoca. Istituto Musicale "L. Boccherini".
27.6 Giovanni Sgambati. Lancellotti Arturo, Vite di musicisti, Roma, F.lli Palombi, 1957.
27.7 Francesco Cilea. Stampa d’epoca. Studio Bibliografico Pera, Lucca.
27.8 Mario Costa. Lancellotti Arturo, Vite di musicisti, Roma, F.lli Palombi, 1957.
27.9 Tito Ricordi. Archivio Ricordi.
27.10 Regina Margherita di Savoia. Stampa d’epoca. Biblioteca Statale di Lucca.

28.1 Tosca, supplemento straordinario alla Gazzetta Musicale ed al Palcoscenico, Milano, gennaio 1900. Collezione Bigongiari.
28.2 "La Tribuna", gennaio- febbraio, 1900. Biblioteca Statale di Lucca.