Gabriele D’Annunzio Giacomo Puccini. Il carteggio recuperato (1894-1922)

ALDO SIMEONE (a cura di), Gabriele D’Annunzio Giacomo Puccini. Il carteggio recuperato (1894-1922), Lanciano, Carabba, 2009, 275 pp.

La pubblicazione di questo carteggio rende alla comunità scientifica, ma anche agli appassionati, un utile servizio. Anzitutto perché consente di apprezzare meglio la statura dei due artisti a colloquio e il progetto che li legò tra il 1894, il 1906 e il 1912-1913: un’opera lirica di Puccini, vessil­lifero del melodramma nell’ultima fase della sua plurisecolare tradizione, sui versi del poeta italiano più in vista del tempo, Gabriele d’Annunzio, «Vate della nazione». Il modello recente di questa accoppiata, pensata anche in termini pubblicitari da Casa Ricordi, veniva dal sodalizio che unì Arrigo Boito a Giuseppe Verdi nei due ultimi capolavori shakespeariani, Otello (1887) e Falstaff (1893). Insormontabili, peraltro, le differenze fra gli scrittori: Boito, che pure era compositore, si limitò a mettere il suo genio poetico e drammatico al servizio di Verdi potenziandone la naturale creatività, mentre il Vate si perse in descrizioni alate di paesaggi sonori di sua invenzione, dominate in particolare dal chicchirichì del gallo. Per capire come la collaborazione fosse destinata a fallire, si legga la lettera del 7 agosto 1906 (pp. 179-182), piena di descrizioni con indicazioni mu­sicali normative: per un talento consapevole e orgoglioso della propria autonomia come Puccini era davvero troppo!

Lo scambio epistolare tra Puccini e d’Annunzio era già stato menzio­nato nel 1928 da Giuseppe Adami, divulgato da Leopoldo Marchetti nel 1949 (fonte quasi esclusiva, faute de mieux, delle trascrizioni riportate in questo volume), e in seguito citato a più riprese – dai Carteggi pucciniani, zeppi d’errori ed omissioni (a cura di Eugenio Gara. Milano: Ricordi, 1958), fino al bel saggio critico di Marco Beghelli («Quel “Lago di Massaciuccoli tanto… povero d’ispirazione!”: D’Annunzio-Puccini, lettere di un accordo mai nato». Nuova rivista musicale italiana», 20, 1986, pp. 605-625). Aldo Simeone supera tuttavia i predecessori perché non si limita a pubblicare il corpus di lettere già noto in una versione curata con rigore (sono corretti in modo convincente, ad esempio, gli errori di datazione e di trascrizione), aggiungendovi un biglietto e due missive sconosciute del poeta (di sua proprietà), ma lo illumina, rimediando, almeno in parte, a una lacuna grave. Se le lettere di Puccini, infatti, ci sono pervenute pressoché integralmente, grazie all’archivio del Vittoriale, mancano all’appello la maggior parte tra quelle di d’Annunzio, la cui esistenza è doveroso supporre dai riferimen­ti del suo interlocutore. Simeone supplisce ingegnosamente all’assenza degli originali (che, per la cronaca, Rita dell’Anna mise a disposizione di Marchetti nel 1949, e non sono attualmente reperibili negli archivi della villa di Torre del Lago), pubblicando lettere del poeta, e del compositore, ad altri corrispondenti (da Giulio e Tito Ricordi a Carlo Clausetti, Camillo Bondi, Sybil Seligman fino ad Alfredo Vandini) che forniscono un conte­sto alla discussione in corso fra i due artisti. Importante risulta anche la sezione dedicata alle opere, dove, oltre ai due brogliacci dei soggetti che d’Annunzio propose a Puccini già editi (La rosa di Cipro e La crociata degli innocenti), possiamo leggere la ‘brutta copia’ di quello sinora inedito di Pa­risina, probabilmente nella versione che il musicista ebbe fuggevolmente tra le mani nel 1906.

Simeone non si limita a restituirci la documentazione più completa si­nora prodotta sui due artisti, ma commentando i loro scambi ci fornisce anche un attestato vivido sullo statuto dell’opera fin de siècle, in bilico fra ragioni estetiche ed esigenze di mercato. Ragioni estetiche che egli tende ad apprezzare, specialmente per rivalutare le intenzioni di d’Annunzio, in più occasioni tacciato di bassi interessi di mercato, e in particolare dagli specialisti di Puccini. Questo, e altri argomenti ancora, sono l’oggetto della lunga introduzione che apre il volume. Si tratta di una novantina di pagi­ne di taglio scientifico, ma anche apprezzabili da un lettore mediamente colto, che ci proiettano in una dimensione europea condivisa da entrambi gli artisti, e ch’è forse la ragione più profonda per rimpiangere una loro fruttifera collaborazione.

I tanti meriti di questo carteggio fanno perdonare volentieri alcuni refusi che punteggiano il volume. Mi limito a suggerire a Simeone per ulteriori, auspicabili approfondimenti saggistici, di ricordare che, oltre a Debussy, anche un altro compositore europeo ebbe a che fare con le aspirazioni del Vate all’«opera internazionale», per dirla con Torrefranca. E se Puccini scrisse nel 1907 a Giulio Ricordi: «D’Annunzio mi si offre ancora e da Lui ricevo stamani una lettera dicente che il vecchio suo usignolo si è svegliato con la primavera e vorrebbe cantare per me…» (p. 195), non altrimenti fece Richard Strauss, rivolgendosi a Hoffmansthal nel 1911: «D’Annunzio di recente mi ha fatto sapere tramite Sonzogno che volentieri scriverebbe qualcosa per me e mi ha chiesto che genere di soggetto avrei preferito. Gli ho comunicato qualche idea, e in particolare il mio desiderio, un soggetto tutto moderno, molto intimo, di nervosa psicologia: staremo a vedere che cosa riuscirà a fare. Su di lui non nutro molte speranze, ma voglio battere tutte le vie possibili». La sfiducia nelle reali attitudini librettistiche di d’An­nunzio (oltre che non pochi tratti nella ricerca delle qualità drammatiche d’un soggetto) accomunava dunque Strauss e Puccini, campioni d’incasso: forse non si tratta di un dato marginale?

 

Michele Girardi
(Archivio d'Annunzio, vol. 1, 2014, pp. 311-312)