La conquista di uno stile

L'intricato nodo del libretto di Manon Lescaut, cui dal 1889 lavorarono dapprima il compositore-letterato Leoncavallo, poi Marco Praga e Domenico Oliva, e in cui ebbero parte sia Giuseppe Giacosa sia Giulio Ricordi, si sbrogliò grazie a Luigi Illica nel 1891, che raddrizzò i punti che Puccini sentiva deboli, senza intaccare l'equilibrio fra le parti già composte. Egli introdusse alcuni personaggi secondari, rese più lirico l'inizio del III atto e suggerì per la sua conclusione una «perorazione a tempo di marinaresca». Ma soprattutto risolse il problema del concertato con l'appello declamato dei nomi delle prostitute, indicando al compositore una precisa strategia formale: Puccini riuscì così a trasformare uno statico concertato in un brano d'azione, un obiettivo che lo stesso Verdi s'era posto nel terzo atto di Otello senza venirne a capo. In Manon Lescaut il genio di Puccini esplose: l'invenzione è a getto continuo, l'ispirazione vi domina, né risulta percepibile all'ascolto l'accurato calcolo formale che solo lo studio della partitura può rendere palese. Un calcolo che giunge sino al dettaglio e garantisce all'opera il suo enorme impatto emotivo. Dopo il mezzo fallimento di Edgar Puccini affrontò concretamente il problema dell'opera in musica posto da Wagner, e riuscì a conciliare la propria tradizione con la realizzazione di un equilibrio diverso fra tutte le componenti dello spettacolo, puntando ad un amalgama indissolubile, sorretto da strutture formali tese e coerenti. «L'opera è l'opera: la sinfonia è la sinfonia», aveva scritto Verdi al conte Arrivabene nel 1884 criticando gli Intermezzi delle Villi. Il suo appunto era peraltro indirizzato solo all'inserimento di brani orchestrali di carattere descrittivo. Ma nel primo atto di Manon Lescaut Puccini passò i confini di quel genere, adattando con abilità strutture di tipo sinfonico alle esigenze dell'azione.
Il contatto con Wagner si sostanzia soprattutto nel rigore e nella coerenza con cui Puccini s'impossessò della tecnica leitmotivica, fondendola alla concezione italiana del dramma in musica, il cui pilastro rimaneva la melodia. Il materiale tematico impiegato nell'opera determina un articolato sistema di relazioni, che lega i personaggi alle situazioni vissute e agli stati d'animo relativi, in rapporti dove sovente la musica assume un peso decisivo, svincolandosi da pure e semplici necessità narrative per creare sofisticate associazioni simboliche. Si pensi al tema del nome («Manon Lescaut mi chiamo»), anticipato all'arrivo della carrozza ad Amiens: da questa sequenza Puccini trasse lo spunto, variandolo come un Leitmotiv, per numerosi momenti chiave della vicenda, quasi che nella musica della protagonista fosse contenuto in potenza il suo futuro e quello del suo amante.
Anche il piano tonale fu strutturato a fini di rendere coerente l'intreccio. Il primo atto tende un arco da La a Mi maggiore, la scena ‘settecentesca' (II atto) gravita nelle tonalità di Re e La maggiore e si collega all'Intermezzo mediante il Si minore, mentre il tema della protagonista attraversa varie tonalità (Si bemolle, Sol maggiore e altre) per essere assorbito nell'ultimo atto dal Fa diesis minore, relativo della tonalità iniziale. Spesso nella critica d'oggi tali rapporti vengono sopravalutati, oppure cercati dove non sono in nome della coerenza compositiva, ma la precisione con cui Puccini collega in Manon Lescaut le tonalità in quanto espressione di temi e melodie ricorrenti rivela precisi intenti drammatici.
Nella trattazione dei soggetti Puccini s'attenne sempre ad un saldo principio operativo: delineare sin dalle prime battute di un'opera l'atmosfera in cui si sarebbe svolta l'azione. In Manon Lescaut egli si prefisse di tratteggiare la couleur locale storica del XVIII secolo, particolarmente nei suoi tratti ipocriti e leziosi. Per imitare musicalmente il Settecento Puccini utilizzò alcuni lavori precedenti, fra cui i Tre minuetti per quartetto d'archi, composti nel 1884 da cui trasse il tema dell'inizio dell'opera e la musica per il ballo. Nella prima parte del secondo atto va in scena la vita d'alcova. La rappresentazione della galanteria dei cortigiani, si oppone col massimo contrasto al clima del successivo duetto d'amore, dominato dalla più sincera delle passioni, ma al tempo stesso contaminato moralmente dalla solare corruttibilità della protagonista. Il madrigale, i minuetti, la canzone pastorale risuonano nel salotto di Geronte per far vivere agli spettatori il tempo interiore della mantenuta, motivandone le reazioni. A partire dal finale del second'atto, quando rientra Geronte sorprendendola fra le braccia dell'amante, la situazione precipita e inizia il cammino di Manon verso la morte, di cui Des Grieux diviene impotente spettatore. L'intermezzo ci introduce all'atmosfera desolata del terzo atto: da qui fino alla fine l'applicazione della tecnica della reminiscenza, incrociata con quella leitmotivica, si fa assai estesa.
Il compositore ribadì nell'estenuante conclusione nel deserto della Louisiana il tema centrale dell'opera: l'amore inteso come «maledizione» e passione disperata, dando il suo primo esempio di «musica della memoria», come farà in modo altrettanto indimenticabile in occasione della morte di Mimì, Butterfly e Angelica. I temi già uditi si susseguono, facendo interagire il passato col presente, e quel poco d'invenzione realizza un'unità poetica saldissima col materiale di tutta l'opera. La musica non deve descrivere nulla, perché nulla accade che non sia il logico effetto di ciò cui abbiamo assistito. La fine di Manon è l'inevitabile conseguenza del suo modo di vivere e assurge ad evento metaforico perché a morire non è soltanto un personaggio, ma un imbarazzante simbolo d'amore, come la disperazione non è solo quella di Des Grieux, ma di tutto il pubblico partecipe di quella morte.
Capolavoro del tardo romanticismo musicale, il quarto atto di Manon Lescaut fa tornare in mente le conclusioni di Don Carlo e Aida. E ci rende palese l'enorme distanza col melodramma di Verdi, là dove la morte era l'unica possibilità per gli individui, oppressi dal potere, di realizzare le loro legittime aspirazioni terrene. «Non voglio morir!» urla solitaria, Manon. Gli amanti pucciniani continuano ad avanzare nella sabbia del deserto, fino all'ultimo cercando un'impossibile salvezza, perché l'unica certezza è la vita. Sono questi i valori disperati e sensuali dell'inquieta fin de siècle: la sensibilità moderna comincia qui dove il cielo scompare.