Biografia di Giacomo (Antonio Domenico Michele Secondo Maria) Puccini

di Michele Girardi

 

Anni d'apprendistato

Ultimo rappresentante di cinque generazioni di musicisti in due secoli (XVIII-XIX) che s'estinsero con lui, raggiungendo i vertici dell'arte e la fama mondiale, Puccini intraprese gli studi musicali, dopo quelli classici, nel 1874 all'istituto musicale «Pacini» di Lucca, sotto la guida dello zio, Fortunato Magi, ma fu con Carlo Angeloni, già maestro anche dell'altro grande lucchese, Catalani, che poté studiare i primi spartiti, fra cui molte opere di Verdi. Dopo un precoce esperimento nel genere sinfonico (Preludio a orchestra in Mi minore-maggiore, 1876) ottenne presto il primo successo col mottetto Plaudite populi (1877) e un Credo, eseguiti nella ricorrenza di San Paolino, patrono di Lucca, il 12 luglio 1878, tanto che in occasione del saggio di diploma, due anni dopo, incorporò il Credo nella Messa a quattro voci con orchestra.
Viste le doti non comuni sin qui dimostrate, Puccini fu mandato a perfezionarsi al Conservatorio di Milano, capitale dello spettacolo nell'Italia d'allora, grazie ad una piccola borsa cui s'aggiunse una modesta rendita concessagli dallo zio, Nicolao Cerù. Lì ritrovò Alfredo Catalani, che aveva colto i primi successi, e per suo tramite entrò in contatto con l'ambiente della Scapigliatura milanese, fra cui spiccavano Boito, Faccio, Marco Praga e molti altri intellettuali di primo piano del tempo.
Nei primi tre anni milanesi (1880-1883) Puccini raccolse tutti gli elementi in grado d'assicurargli un futuro: nell'insegnamento dell'affermato operista Ponchielli, subentrato dopo un mese al suo primo maestro Bazzini (apprezzato in campo sinfonico e violinista rinomato), cercò soprattutto d'imparare il coup de théâtre, dote di cui avrebbe fatto sfoggio in numerose circostanze; da Amintore Galli, docente di storia e filosofia della musica, apprese i principi fondamentali dell'estetica wagneriana in rapporto alla tecnica armonica; infine, tramite gli spettacoli cui assistette alla Scala e nei teatri minori - quasi tutte le opere maggiori di Bizet, Gounod, Thomas - stabilì subito quel filo diretto col mondo francese che sarebbe divenuto uno dei tratti distintivi della sua sensibilità.
Da studente compose un Preludio sinfonico in La maggiore nel 1882, e l'anno successivo il Capriccio sinfonico, come saggio di diploma, che Franco Faccio, il più celebre direttore italiano, eseguì, alla guida dell'orchestra del Conservatorio, il 14 luglio 1883, e propose altre due volte a Torino nell'anno successivo. Il lavoro di Puccini ebbe un successo notevole, e piacque molto al critico Filippo Filippi, in prima fila fra i sostenitori in Italia della musica sinfonica e lirica del romanticismo tedesco.
Il Capriccio è un brano di rispettabili proporzioni per grande orchestra vicino alla forma del poema sinfonico e dimostra che Puccini era capace d'ingegnosità formali e di un'inventiva timbrica sconosciute agli operisti che trattarono il genere descrittivo. Ma è più interessante il Preludio, basato su un'estrema concentrazione del materiale, in cui è palese, nella sonorità incorporea dell'inizio, il richiamo al preludio del Lohengrin. Peraltro la migliore composizione di Puccini, al di fuori della produzione operistica, è senza dubbio la Messa a quattro voci con orchestra. I brani dell'ordinario liturgico hanno sempre acceso la fantasia degli operisti, i quali vi hanno individuato un evidente principio rappresentativo (e si pensi alla Messa da requiem di Verdi). In questa prospettiva vanno valutati l'attacco marziale del Gloria com'anche il tema iniziale del Credo, tuttavia non mancano alcune caratteristiche specifiche dello stile sacro, come all'inizio del Kyrie, caratterizzato da un elegante contrappunto corale a quattro parti in stile osservato. L'opera è piena di spunti rilevanti, in un arco di situazioni che passa dall'intensa drammaticità del Credo alla fatua eleganza dell'Agnus Dei, ed è sempre sorretta dall'orchestra, che qui ha un'autonomia più marcata rispetto gli usi del tempo. Nella Messa si rivela tutta la fantasia di un giovane di talento che, traendo partito da una grande e vitale tradizione familiare, seppe superarne i condizionamenti provinciali, creando i presupposti utili a sviluppare il naturale istinto per l'opera. La tecnica ragguardevole che dimostrò in quest'occasione è davvero la premessa di un futuro in cui il lavoro sull'affinamento del linguaggio avrebbe giocato un ruolo fondamentale per la realizzazione dell'effetto teatrale.