Tra realismo e poesia

La Bohème nacque in clima di aperta concorrenza artistica fra Puccini e Leoncavallo, ognuno dei quali rivendicava per sé la priorità sul soggetto. Probabilmente aveva ragione il compositore napoletano, ma ciò ha poca importanza, poiché egli portò a termine il suo lavoro con notevole ritardo, oltre un anno dopo il suo rivale e oggi la sua Bohème è soltanto un documento del gusto d'epoca, mentre l'altra domina fin dal suo debutto il repertorio internazionale.
Illica e Giacosa riuscirono nell'arduo compito di ricavare una coerente azione operistica dal romanzo Scènes de la Bohème, in cui Henri Murger aveva rifuso propri raccontini brevi nel genere della narrazione d'appendice. I versi e le peculiarità drammatiche del libretto che fornirono a Puccini postulavano una musica che aderisse con la massima naturalezza a un'azione prevalentemente priva di episodi statici, del resto trovare un nuovo rapporto fra un'articolazione serrata del dramma e le tradizionali necessità liriche era un problema che tutti i colleghi di Puccini si erano posti, poiché alla fine del secolo in Italia non esistevano più confini rigidi fra generi. Riusciti esempi di commistione si potevano ritrovare in alcune opere di Verdi, e grazie alla Traviata Puccini aveva già potuto comprendere come si potesse stilizzare senza forzature l'elemento quotidiano all'interno del codice melodrammatico. Fu però dal Falstaff, praticamente costruito su una mobile successione di recitativo e arioso, che Puccini ebbe la definitiva conferma di quale fosse il modo migliore di evadere dalle costrizioni dell'opera divisa in arie, duetti e concertati, per creare un organismo unitario e coerente. Nella Bohème egli doveva trattare un'azione dove ogni gesto rispecchiasse la vita di tutti i giorni, al tempo stesso doveva conquistare un livello narrativo più alto, comunicando per metafora l'idea di un mondo in cui il tempo fugge, e di cui la giovinezza è protagonista: un ironico disincanto è sempre immanente anche nei momenti più intensamente poetici e il lato sentimentale sorge senza soluzione di continuità da un meccanismo che ha necessità di natura concreta, e ad esso ritorna trasformato in emblema.
Nei primi due quadri dell'opera l'elemento comico ha larga parte e convive con quello sentimentale, ne è prova il temino puntato e timbricamente sfaccettato dell'inizio - che torna sovente per ricordare come l'amore sia solo uno fra i tanti momenti dell'esistenza -, trattato con una concezione simile a quello esposto nelle tre battute iniziali del Falstaff. Per fissare un ritratto individuale e collettivo del gruppo di artisti squattrinati Puccini coordinò in scioltezza diversi parametri creando un continuum sonoro: estese melodie liriche, agili cellule motiviche, tonalità in funzione semantica, colori lucenti e vari in orchestra. Il telaio dell'azione poggia su temi che animano i diversi episodi in cui i protagonisti rivelano il proprio carattere, e anche l'incontro amoroso di Mimì e Rodolfo, pure improntato all'espansione lirica e dunque alla dilatazione psicologica del tempo, presenta un'articolazione narrativa da ‘canto di conversazione'.
Il frequente ricorso ad elementi che possano denotare e connotare la vita di tutti i giorni nella Bohème deve invece essere inquadrato nell'ambito generale di una maggiore attenzione rivolta nella seconda metà del secolo dagli artisti di tutta Europa alla rappresentazione della realtà nei propri lavori. Tale ‘realtà' permea particolarmente il colorito affresco del secondo quadro, dove Puccini riuscì a coordinare una elevata quantità di eventi, affidandoli a piccoli gruppi corali e ai solisti, e lo fece assicurando al contempo le opportune sincronie e una fulminea rapidità, con un taglio quasi cinematografico. Non c'è un solo episodio che perda di rilievo all'interno di un unico blocco concertato con piccoli episodi solistici, dove l'ambiente prende parte attiva nel dramma, e non si limita ad essere color locale, come in Mascagni o Leoncavallo.
Se nei primi due quadri della Bohème l'allegria regna sovrana, tutto nei secondi due parla di nostalgia, dolore e morte. La simmetria dell'intera struttura è stabilita dall'ultimo quadro, specchio del primo (siamo nella stessa fredda soffitta), più concentrato nelle dimensioni ma analogamente diviso in due metà dal carattere contrastante, gaia la prima, drammatica la seconda. Il tempo dell'azione non è specificato, si sarebbe quasi tentati di affermare che non ne sia passato dall'inizio dell'opera, oppure che si viva già nell'eterna primavera del ricordo. La netta impressione del déja vu è confermata dalla ripresa del tema con cui l'opera iniziava, ma in orchestra non c'è più la frammentazione dell'avvio, bensì il timbro impastato degli strumenti, che introduce concretamente un discorso già iniziato. Questo accorgimento si può leggere in chiave formale, come momento di amplificato riepilogo in una forma ciclica, ma è del pari evidente che l'esasperata dinamica produce una sensazione di enfasi quasi a voler nascondere la nostalgia, sentimento dominante della scena in cui Marcello e Rodolfo ricordano le rispettive amanti.
Tutte le emozioni che la fine di un essere amato può procurare sono sistemate secondo una scaletta che porta infallibilmente alla commozione il pubblico di ogni razza e d'ogni età. Tanta efficace universalità non è dovuta al solo potere evocativo della musica, ma anche alla sapiente strategia formale che governa la partitura: il ritorno nei momenti più opportuni dei temi che descrivono il carattere e le emozioni di Mimì l'hanno resa familiare e indimenticabile al tempo stesso. Inoltre la musica, riepilogando il già trascorso, va incontro al tempo assoluto, raccogliendo ogni sfumatura semantica del testo e ricostituendo una nuova entità, la memoria collettiva, sulla base dell'ordine in cui i temi sono riproposti.
«Sei il mio amor e tutta la mia vita». Qui si chiude il circolo vitale di Mimì, ormai divenuto sineddoche dell'amore romantico, perduto ma eternamente rimpianto. L'ultimo ad accettare la sua morte è Rodolfo: la sua invocazione disperata, vista come un cedimento di Puccini alla pratica del verismo, risponde invece a una logica che sarà applicata anche nel finale di Tosca: a un tema significativo è affidato il gesto che esprime il compimento della tragedia. L'opera si conclude con la stessa cadenza della commovente «Vecchia zimarra» di Colline, ed è un modo per scrivere con la musica la parola addio, ricordando il saluto commosso che il filosofo aveva rivolto al pastrano. La cadenza è il congedo più suggestivo da un mondo fatto di persone e di cose, un mondo di cui la morte di Mimì ha decretato la fine traumatica.
Liberati dai vincoli di una narrazione convenzionale, possiamo avvertire il peso metaforico di un evento tragico che interrompe bruscamente il flusso del tempo. A Rodolfo, e a tutti quelli che dividono le sue emozioni, non rimane il tempo di riflettere: la tragedia ferma l'azione e fissa quel dolore nell'eternità dell'arte, permettendo così alla Bohème di vivere per sempre.