Roma tra fede e potere

Il dramma di Floria Tosca ideato da Victorien Sardou nel 1887 entrò nella vita di Puccini due anni dopo, quando Manon Lescaut giaceva da tempo sul suo tavolino. Se per risolversi in favore di Prévost gli ci vollero quattro anni, per Tosca ne passarono altri sei. In mezzo, oltre a Bohème, ci fu la complicazione che il contratto con Sardou fu girato da Ricordi a Franchetti, e si dovette ricorrere a uno stratagemma perché tornasse a Puccini.
Poco a che vedere ha Tosca col verismo, di cui non condivide alcun presupposto (i protagonisti non appartengono ai bassi ceti della popolazione e neppure alla borghesia, né la catastrofe ha a che fare con la loro condizione sociale, ma con la loro natura e la loro ideologia). Il legame con la realtà viene piuttosto dal dramma originale, ove un reticolo fittissimo intreccia gli accadimenti storici alla finzione: l'azione è ambientata a Roma il 17 giugno del 1800, tre giorni dopo la battaglia di Marengo. Lo sfondo politico è il presupposto indispensabile della tragica vicenda della celebre cantante Floria Tosca e di Mario Cavaradossi, che incarna gli ideali della Rivoluzione francese. Dramma e opera trovano il loro punto focale nel complesso ritratto del barone siciliano Vitellio Scarpia, la cui verosimiglianza affonda le sue radici nella storia universale dei regimi politici, dove non sono mai mancati, né mancheranno mai, uomini che si sono valsi del potere per trarne vantaggio personale.
I personaggi principali sono inseriti all'interno di un ritratto a tutto tondo della Roma papalina ai primi dell'Ottocento, che non si limita ad essere lo sfondo per le azioni dei protagonisti, ma contribuisce a motivare le loro scelte e la loro ideologia. Il ruolo preminente che la couleur locale esercita in Tosca è tra l'altro dovuto alla decisione di eliminare dal libretto gli atti della pièce che contraddicevano l'unità di azione e di luogo; ne deriva il rilievo assoluto cui assurgono i tre spazi dove si svolge la vicenda: la Chiesa di Sant'Andrea della Valle, Palazzo Farnese e la piattaforma di Castel Sant'Angelo. Puccini realizzò una piena interazione fra personaggi e ambiente, al centro della quale pose il barone Scarpia, incarnato dai tre accordi che s'odono a sipario abbassato, legati a doppio filo all'immagine della Chiesa. Perciò una delle sue maggiori preoccupazioni fu quella di riprodurre realisticamente l'atmosfera romana che tanta parte rivestiva nell'opera: s'informò su ogni dettaglio di liturgia, dai riti specificamente praticati a Roma (per il finale primo) sino al suono delle campane per il mattutino del terz'atto, in cui inserì un sonetto in dialetto romanesco espressamente composto dal poeta Gigi Zanazzo.
Tosca
si differenzia dalle opere precedenti perché segue strettamente le unità di tempo, luogo, azione. L'unità d'azione è a sua volta il fondamento del dramma, governato da una logica ferrea: ogni premessa trova il suo esito consequenziale entro l'arco di accadimenti che, senza conoscere alcuna deviazione, va dalla fuga di Angelotti sino al suicidio di Tosca. L'estrema concentrazione di eventi obbligò Puccini a seguire una scansione temporale accelerata, e perciò a modificare la consolidata tecnica narrativa basata sul ricorrere di temi e reminiscenze che identificassero figure e situazioni senza particolari gerarchie. Egli coordinò invece una fitta trama musicale, capace di realizzare un agile commento sonoro al frenetico succedersi dei fatti. Si valse degli accordi di Scarpia, e in relazione ad essi della scala esatonale, come cardine su cui far ruotare l'opera. Cosparse inoltre la tavolozza armonica di dissonanze, e spinse sovente orchestrazione, agogica dinamica e vocalità ai limiti estremi, caricandole di laceranti tensioni espressive, in ossequio a una vicenda ove, in poco più di un'ora e mezza, si succedono un'evasione, una scena di tortura, la notizia di un suicidio, un tentativo di violenza sessuale con l'uccisione del mancato stupratore, una fucilazione e il suicidio della protagonista.
All'idea di evoluzione dinamica del dramma non sfugge neppure la definizione dell'elemento lirico. L'amore (che in Tosca involve in furiosa gelosia) non occupa un posto predominante come elemento in sé, bensì come rifugio dalle tensioni di una vita difficile e opprimente, come anelito alla felicità dei sensi da realizzarsi in luoghi lontani dal mondo, al riparo dai tentacoli secolari dalla Roma pontificia. "E muoio disperato!" è la parola scenica che rende più lancinante l'addio alla vita di Cavaradossi nel III atto. Da questa frase Puccini era partito per immaginare il pezzo, battendosi fermamente perché Illica modificasse secondo le sue intenzioni un precedente monologo filosofico che tanto era piaciuto a Verdi, grande estimatore del soggetto. Questa effimera e sensuale rievocazione di una notte d'amore è uno dei momenti più rappresentativi dell'arte moderna e decadente di Puccini: ogni eroismo le è estraneo. È atteggiamento coerente, poiché proprio l'unico personaggio autenticamente laico dell'opera non poteva richiamarsi ad altre religioni, a esaltazioni dell'arte, o a nostalgie romane, ma doveva prepararsi a morire con disperata consapevolezza, quella stessa che minava la fiducia dei contemporanei di Puccini nei confronti dei valori correnti. Questa coscienza di una morte inevitabile Cavaradossi la mantiene anche di fronte al salvacondotto sventolato da Tosca: infatti, se si accetta la logica con cui l'opera è costruita, solo un credente può prestar fede al suo confessore. A confermare la sua sfiducia viene la scena simbolo di tutta l'opera, quando Floria si lancia dal bastione del Castello e rende alla città il suo corpo, dopo aver gridato «O Scarpia, avanti a Dio!...». Solo in questo momento, dopo che il dramma politico e di bigottismo si è concluso con una sfida impossibile, la ripresa della melodia disperata dell'aria di Cavaradossi può congedare l'opera nel segno dell'amore sensuale, unico valore certo e reale.
Tosca
è a tutt'oggi una delle opere più presenti nell'immaginario collettivo. La sua vitalità è anzitutto determinata da ragioni tecniche. Il compositore perseguì fedelmente l'intento di rappresentare una realtà, un ambiente, dei personaggi, mettendo la musica a servizio del dramma e nel farlo, come d'abitudine, aggiornò il proprio linguaggio musicale. Fantasia timbrica, invenzione melodica ed elaborazione motivica partono da un'economia e un razionale utilizzo del materiale che preludono a realizzazioni strutturali ancor più ardite, in linea con gli sviluppi dell'opera europea del suo tempo. Coniugando la sensibilità tardo ottocentesca della pièce di Sardou con la modernità linguistica, che trovò ardenti estimatori in Arnold Schönberg e Alban Berg e un detrattore altrettanto appassionato in Gustav Mahler, Puccini inaugurò nel modo migliore il nuovo secolo.