Nuove forme

L'effettiva unità estetica del Trittico è indispensabile premessa a quella formale, poiché la struttura dei singoli atti unici è determinata dall'esigenza di dar loro un respiro unitario che percorra l'intera serata. Il compositore riuscì inoltre a concentrare il materiale drammatico di un'opera a largo respiro in limiti più ristretti, e affrontò il problema del tutto nuovo di accostare, sulla base di uno specifico progetto, tre generi differenti - il ‘drammatico', il ‘sentimentale' e il ‘buffo' (sia pure in accezione lata) - valicando di slancio la prassi diffusa in tutta Europa a quel tempo. Egli intese realizzare un organismo dalle ‘tinte' adeguatamente diversificate, per unificarle anche sulla base del loro contrasto. La violenza espressiva di Tabarro interessa e sorprende, la musica delicata e la natura del dramma vissuto dalla protagonista di Suor Angelica commuove infallibilmente, dal canto suo Gianni Schicchi diverte moltissimo, anche se l'elemento macabro sporca la risata.
Puccini era solito stabilire pregnanti relazioni fra la vicenda e il luogo in cui si svolge, ma qui intese dedicare uno spazio qualitativamente diverso all'atmosfera dell'opera: l'attiva interazione musicale e drammatica tra vicende e luogo gli avrebbe consentito di realizzare le nuove strutture musicali che aveva in mente sin da quando, agli inizi del nuovo secolo, aveva avvertito i sintomi della crisi novecentesca. Dopo avere stabilito il proprio modello nel Tabarro, già composto prima di trovare gli altri due soggetti, Puccini concertò con Forzano le opere seguenti. La pièce iniziale gli offriva un punto d'attacco perfetto: il passo monotono della Senna, realizzato con mezzi musicali, presupponeva un analogo scorrere di eventi legati a situazioni sociali vissute ai margini della metropoli e, al contempo, influiva sul comportamento dei protagonisti. Siamo poi condotti a un asettico convento di clausura, dove preghiere, rintocchi di campane, inni in latino, scrittura modale, timbri sfumati ed algidi marcano un distacco completo dal mondo degli affetti terreni frutto della costrizione e della rinuncia. Altrettanto accade nello Schicchi. Tramite la lingua cruscante dei personaggi e lo stornello di Rinuccio dove sono celebrati tutti i grandi artisti toscani del tempo, a mano a mano il ritratto di Firenze prende corpo, fino a rivelarsi in modo liberatorio dietro all'immagine finale degli amanti abbracciati che spalancano la porta della terrazza. E grazie allo strapotere del ritmo si rivivono qui tutti i meccanismi della tradizione realistica dell'italico genere comico, dalla farsa sino all'opera buffa settecentesca. La coerenza con cui Puccini concepì il Trittico emerge da questi diversi equilibri tra musica d'ambiente e vicende individuali, dall'unità ottenuta mediante funzionale giustapposizione tra un atto e l'altro, tutti ulteriormente accomunati dall'importanza del fattore tempo.
Sfogliando la partitura del Tabarro ci si rende conto di come l'articolazione del dramma in rapporto alla musica segua proporzioni auree. La prima parte è dedicata alla presentazione dei personaggi che popolano i bassifondi parigini. Nella seconda, focalizzata sull'amore clandestino e sulla nostalgia di Michele, si avvia l'azione che porterà alla conclusione, dominata dall'omicidio e siglata da un finale a sorpresa. La novità di scrittura emerge se si esamina la sua struttura in rapporto alla trama, chiaramente articolata secondo lo schema: esposizione, peripezia, catastrofe. Ad esso corrispondono tre ampie sezioni in partitura (un ampio Maestoso iniziale, un Allegretto centrale, un Allegro conclusivo con introduzione sostenuta), dove i temi sembrano quasi sottomettere l'azione alle esigenze della forma musicale. Questo procedimento risolve brillantemente il problema della concentrazione (postulato dall'atto unico) e inoltre assicura alla partitura un'unità sinora mai raggiunta da Puccini grazie a un trattamento che riaggiorna fattezze classiche.
Anche Suor Angelica è sorretta da una solida struttura, organizzata per giustapposizione di episodi attraversati da temi e reminiscenze. La traccia è chiaramente indicata nel libretto di rispettata dal compositore con precisi stacchi: si tratta di una Via Crucis in sette stazioni vissuta dalla protagonista. Ognuna di queste parti ha un carattere che la rende episodio a sé stante, ma c'è una studiata omogeneità di fondo del materiale melodico che lega le stazioni da uno a quattro, seguita da uno stacco notevole che isola la quinta, dove il clima di consuetudini del convento viene traumaticamente spezzato. Questo episodio crea le premesse del finale (stazioni sei e sette), dove la temperatura drammatica cresce sino al miracolo conclusivo.
Lo Schicchi è forse la più riuscita delle tre partiture, senza dubbio almeno dal punto di vista tecnico. Per rivivere la tradizione dell'opera buffa Puccini fece del ritmo l'elemento unificatore della sua musica. A sipario chiuso i bassi dell'orchestra attaccano fragorosamente un pedale di dominante mentre gli altri strumenti si proiettano con slancio verso l'acuto, dando vita a un movimento ostinato di crome. I due temi generati dall'impeto iniziale reggono per circa due terzi della partitura, incarnando a meraviglia il flusso inarrestabile della trama. Nell'assolo «Avete torto!» Rinuccio si stacca dal contesto replicando con senno all'isterica protesta dei parenti. Il brano è uno dei più lunghi scritti da Puccini per un tenore, ed è il primo di ben quattro numeri chiusi affidati ai tre personaggi principali, cui si sommano duetti, terzetti e concertati. A ben guardarne la costruzione (recitativo-arioso e stornello tripartito) si direbbe quasi che Puccini abbia voluto liberamente ricreare modelli settecenteschi, dove l'aria faceva parte integrante dell'azione drammatica alla stregua del recitativo. Non altrimenti il grande assolo del protagonista (in cui scorrono anticipi tematici e reminiscenze) che, come l'aria di Lauretta e gli altri ‘numeri', non rappresentano dunque una soluzione di continuità rispetto al sistema di narrazione per Leitmotive e reminiscenze: sulla loro funzionale compenetrazione, anzi, si fonda la forma dello Schicchi.
Gianni Schicchi
chiude il Trittico con una risata, effetto della travolgente trama, ma anche dal punto di vista formale ha tutti i connotati, pensandola in termini sinfonici, di un Presto conclusivo, quasi come avessimo assistito a una recita in tre movimenti, a partire dall'Allegro sostenuto del Tabarro, seguito da un delicatissimo e lirico Andante. Per interrompere il flusso continuo delle tre partiture, intessute di opposizioni solo apparentemente radicali tra genere sinfonico e operistico, forma chiusa e forma aperta, Puccini è dovuto ricorrere a un gesto d'effetto: la licenza declamata dallo Schicchi è teatro del Novecento europeo, perché le parole del protagonista rompono l'illusione della messa in scena restituendoci il dominio della finzione. Indietro, fino all'ansa della Senna da cui eravamo partiti.